I porti italiani verso un futuro GREEN
I porti sono il perno della «blu economy», l’economia del mare. Container, rinfuse, idrocarburi, passeggeri. Per l’Italia un flusso di 403 milioni di tonnellate di merci che nel 2019 ha generato 6,5 miliardi, dato da sommare alle altre voci del comparto marittimo: trasporti (12,2 miliardi), cantieristica (12,6) e pesca (1,7). Totale quasi 34 miliardi, il 2% del Pil nazionale. Purtroppo, i porti sono anche luoghi inquinati. Scarichi, emissioni, rifiuti, gas tossici, traffico di mezzi pesanti. Principali imputati i bastimenti, responsabili per il 60% delle emissioni prodotte nelle aree portuali. Una situazione ormai insostenibile, che ha convinto l’IMO, legislatore internazionale della navigazione, a imporre ai mercantili di tutto il mondo di utilizzare carburanti con non oltre lo 0,5% di zolfo, un settimo di quanto prima consentito. A sua volta l’UE ha iniziato a muoversi con investimenti e progetti finalizzati a una transizione basata su combustibili alternativi, come il GNL o l’idrogeno. Nel dicembre 2020 è stata presentata la European Sustainable and Smart Mobility Strategy con l’obiettivo di ridurre in 40 anni il 90% delle emissioni del settore dei trasporti. Dal 2030 entreranno in funzione le prime navi da trasporto a emissioni zero e, entro il 2035, sarà il turno degli aerei. Nel 2050 i porti e gli aeroporti dovranno diventare nodi a emissioni zero. E in Italia? Nonostante le note criticità strutturali e l’assenza di un ministero del Mare, qualcosa inizia a muoversi. A gennaio nell’ambito del Recovery Fund è stato previsto un «progetto porti integrati d’Italia» con 1,22 miliardi destinati alla sostenibilità ambientale, in primis per l’elettrificazione delle banchine con il sistema «cold ironing». Un primo passo verso i tanti auspicati «porti verdi».